Perchè il museo dell’industria bacologica

Le uova del baco da seta vengono denominate seme bachi per una consuetudine storica consolidatasi in Occidente “ad immemorabili”.

Queste uova ebbero un’importanza del tutto particolare, al pari di una materia prima; in definitiva era da esse, infatti, che dipendevano tutte le altre fasi della filiera serica.

Remo Grandori, già Direttore dell’Istituto Bacologico di Trento e libero docente nella Regia Università di Padova, nella introduzione alla sua pubblicazione Il seme bachi così scrisse nel 1931:

«Nonostante che l’Italia  sia uno dei paesi più forti produttori di seta nel mondo, occupando il terzo posto dopo il Giappone e la Cina, e nonostante che essa occupi il primo posto tra i paesi Europei produttori di seta, tuttavia è assai ristretto il numero delle persone, anche colte, che sappiano l’importanza, la finezza e la perfezione tecnica di quell’industria che sta alla base di tutta la sericoltura e che consiste nell’ottenere dalle farfalle del filugello, il così detto seme-bachi” […].

Alcuni ne parlano e ne scrivono senza avere mai varcato le soglie di uno Stabilimento Bacologico […]»[1].

L’attività di ricerca che venne sviluppata per risolvere la calamità causata dal dilagare della pebrina, è rimasta sempre assai poco conosciuta.

In particolare le acquisizione scientifiche alla base delle tecniche che permisero di ottenere con razze monovoltine[2], nello stesso anno solare della deposizione, allevamenti estivi ed autunnali non furono rese di dominio pubblico ne mai divulgate, e restarono monopolio esclusivo dell’industria bacologica; più precisamente dell’assai ristretto gruppo di bacologi, pionieri dell’industria bacologica, che furono in rapporti con Louis Pasteur. Tra questi va ricordato Guido Susani nel cui Stabilimento, fondato ancora nel 1870 in comune di Triuggio (Brianza), per diversi anni vennero eseguiti esperimenti sotto le dirette indicazioni di Pasteur, cosicché una Sezione dell’Istituto Bacologico prese il nome di “Cascina Pasteur”. Guido Susani, come pure Louis Pasteur, furono entrambi legati da amicizia con Luigi Chiozza, che ebbe un ruolo importante, anche se decisamente poco noto, nella restaurazione della bachicoltura in Europa.

Pasteur non si occupò quindi solo della pebrina, ma in forma del tutto riservata, fu incaricato di scoprire se mai fosse possibile ottenere la schiusura delle uova di razze monovoltine ancora nello stesso anno solare della deposizione, ottenendo così la possibilità di realizzare allevamenti estivi-tardoestivi ed autunnali.

Gli allevamenti primaverili di razze monovoltine, ossia quelli consueti, normali, provenivano esclusivamente dalla schiusura di uova deposte non già nell’anno solare dell’allevamento stesso, bensì deposte nell’anno solare precedente! E queste uova, ossia quelle deposte l’anno precedente, che non potevano essere portate in incubazione nell’anno della loro deposizione, acquisivano la capacità di schiudere l’anno successivo solo grazie alla cosiddetta ibernazione.

L’ibernazione quindi non serviva alla conservazione del seme bachi, bensì ad infondere nel seme stesso la capacità di riprendere lo sviluppo embrionale, il quale si interrompeva bruscamente,  nelle uova di razze monovoltine, appena 36 ore dopo la deposizione, dando luogo al lungo periodo della diapausa embrionale, periodo questo che perdurava ininterrotto per circa 10 mesi.

Per rendersi ragione delle motivazioni dell’eccezionale impegno scientifico e di ricerca in questo campo, basti sapere che durante tutto il XIX secolo la seta concorreva con l’oro e l’argento a costituire base monetaria; ancora nei primi decenni del XX secolo sia la Borsa Sete di Milano e Londra sia pure la Borsa Sete di New York e Yokohama riportavano quotidianamente il valore della seta greggia riferito per lo più alla unità di peso comune denominata “balla”, approssimativamente 10 balle corrispondevano a circa 1.500 libbre.

Non tutte però le sete prodotte nelle varie regioni del nostro pianeta concorrevano a costituire base monetaria. Il fattore discriminante non era discrezionale,  ovviamente, non poteva basarsi su una vantata qualità del prodotto, bensì era un fattore fisico, oggettivo. La seta quotata in borsa doveva infatti necessariamente provenire da bozzoli di razze annuali, ossia di razze monovoltine, solo queste infatti costituivano le così dette “razze pregiate” e provenivano per lo più dalle razze che nel corso dei secoli si erano andate affermando in Europa, oppure nell’arcipelago nipponico, soppiantando in queste regioni le razze polivoltine. Ecco perché Pasteur, per incarico del Governo francese, non dovette occuparsi solo del problema della pebrina, bensì anche di come poi poter ricostituire in breve tempo le razze tradizionali, queste appunto monovoltine, selezionate in Europa a partire da Giustiniano nel corso di secoli, i cui ceppi, dopo l’epidemia, risultavano gravemente compromessi

Pasteur, in analogia con i risultati degli studi compiuti sul vino anni prima, a partire dal 1855, che portarono alla scoperta dei processi che costituivano la fermentazione, riscontrò che nelle uova delle farfalle del baco da seta si attuavano pure delle ossidazioni per deidrogenazione, ma in questo caso l’idrogeno sottratto al substrato veniva captato da accettori successivi, l’ultimo dei quali era l’ossigeno molecolare. Tali processi, dove l’accettore finale di idrogeno era l’ossigeno molecolare, costituivano la “respirazione”; avvenivano esclusivamente a livello di particolari microrganismi aerobi, in grado di vivere e riprodursi solo in presenza di ossigeno elementare. Detti microrganismi, sempre presenti nelle uova, vennero chiamati “simbionti ereditari”.

Si scoprì che trattando il seme bachi con acidi forti[3] come l’acido cloridrico […] si poteva incrementare in brevissimo tempo la popolazione dei simbionti ereditari presenti nella cellula uovo, facendo sì che il loro numero crescesse a dismisura fino a provocare fenomeni fisiologici veramente straordinari e, in un primo momento, del tutto inattesi, come lo schiudimento estemporaneo del seme bachi stesso, anche se appartenente a razze monovoltine o addirittura la partenogenesi[4].

Si era quindi trovato il modo per evitare che tra una generazione e l’altra dovesse necessariamente intercorrere un intero anno solare. Con le tecniche per lo schiudimento estemporaneo delle uova, ora si potevano avere più generazioni nel corso dello stesso anno solare, anche operando con razze monovoltine, ottenendo risultati del tutto ottimi. Ecco che i tempi per la fissazione dei caratteri ereditari e per la stabilizzazione delle razze pregiate ora si potevano accorciare.

L’importanza dal punto di vista prettamente pratico, ossia della bachicoltura, del metodo per ottenere la schiusura anticipata delle uova di razze monovoltine, era enorme. Porzia Lorenza Lombardi, che succedette a Luciano Pigorini nella direzione della Stazione Bacologica Sperimentale di Padova, così scrisse:

«[…] Il contributo scientifico-tecnico del passato che non ebbe piene applicazioni pratiche nel nostro Paese, per ragioni inerenti alle condizioni della nostra agricoltura, fece la fortuna di altri Paesi serici come per es. il Giappone che da decenni ricava la metà del proprio prodotto bozzoli dai secondi e terzi allevamenti. Tali allevamenti, che si basano su razze pregiate, extra primaverili, si ottengono specialmente con il sistema chimico di schiusura estemporanea (trattamento con acidi forti) ideato dagli italiani. […]»[5].

Questo è il motivo fondante del Museo dell’Industria Bacologica: conservare le acquisizioni scientifiche già possedute dai pionieri dell’Industria Bacologica, attribuendo a Louis Pasteur, sia pure a 122 anni dalla morte, il merito di aver inquadrato in forma completa i cosiddetti processi di deidrogenazione che comprendono, in ultima analisi, le reazioni che sono alla base della vita in qualsiasi organismo. Quindi, oltre alle scoperte sulle fermentazioni che coinvolgono microrganismi anaerobi, conseguite a seguito dei noti studi sui vini,   anche quelle, rimaste fin qui a lungo coperte da una cortina di silenzio, compiute sulle uova del Bombyx mori, che riguardano da un lato la cosiddetta “respirazione cellulare”, dall’altro gli straordinari fenomeni fisiologici derivanti dalla repentina crescita esponenziale del numero dei simbionti ereditari a livello della cellula uovo ospitante.

Parigi, Istituto Pasteur, Cripta ove è sepolto Louis Pasteur.

Le pareti della Cappella riportano scolpite le date, in ordine cronologico, delle più importanti ricerche compiute dallo scienziato:

1848 – DISSIMETRIA MOLECOLARE

1857 – FERMENTAZIONI

1862 – GENERAZIONI DETTE SPONTANEE

1863 – STUDI SUL VINO

1865 – MALATTIE DEI BACHI DA SETA

1871 – STUDI SULLA BIRRA

1877 – MALATTIE VIRULENTE

1880 – VIRUS – VACCINI

1885 – PROFILASSI DELLA RABBIA

Sulla parete di sinistra si legge:

1865 – MALATTIE DEI BACHI DA SETA

[1]  Remo Grandori, Il seme bachi, Editore Antonio Vallardi, Milano, 1931, pagg. 5, 6.

[2]  Le razze del baco da seta, a seconda della durata del loro ciclo vitale, si distinguono in monovoltine se presentano una sola generazione all’anno, in bi, tri, polivoltine se, nel corso dell’anno, riescono a completare due, tre o più generazioni. Quest’ultimo comportamento biologico è tipico di diverse razze orientali, in particolare di quelle originarie dal Bangladesh. Le razze allevate in Europa erano rigorosamente tutte monovoltine; pertanto le relative uova non potevano schiudere naturalmente se non avevano “registrato” il passaggio della stagione invernale, ossia se prima non erano state opportunamente ibernate.

[3]  Giovanni Bolle, Il Sesto Congresso Internazionale di Parigi, da: Atti e Memorie dell’I.R. Società Agraria di Gorizia, periodico mensile, Organo dell’I.R. Istituto Bacologico Sperimentale e degli Istituti scientifico-agrari provinciali, n. 12, dicembre 1878, Anno XVII – Nuova Serie, pag. 361.

[4] Le uova si sviluppavano senza essere state precedentemente fecondate.

[5]  Porzia Lorenza Lombardi, Cenni sulla Stazione Bacologica Sperimentale di Padova, Annuario della Stazione Bacologica Sperimentale di Padova,Volume 51°, Tomo I, Tip. Messaggero, Padova, 1961, pag. 10.